“Esterno Notte”, il ritratto di una stagione politica controversa

“Esterno Notte”, il ritratto di una stagione politica controversa

Quasi una settimana fa sono stata al cinema a vedere l’ultima chicca di Marco Bellocchio, “Esterno Notte”.

Ho preso tempo, per metabolizzare, come mio solito, quando trovo una cosa, particolarmente bella.

E vi dico la mia.

1978

La lotta armata, è la protagonista indiscussa di quegli anni.

In maggioranza tutta la Democrazia Cristiana, maggioranza nazionale, e non per modo di dire.

All’opposizione la destra e il partito comunista di Berlinguer.

La storia la conosciamo tutti: Moro, da lungimirante statista quale era, propone l’appoggio al governo dei comunisti.

Il governo Andreotti era vittima, in quei mesi, di una crisi di governo senza uscita.

Dapprima lo scetticismo e il cattolicesimo sfrenato della compagine democristiana, storce il muso, ma poi, molla la presa.

Moro incontra Berlinguer, gli consegna la lista dei sottosegretari adeguati all’eventuale “compromesso storico” , e attende il riscontro.

 

L’11 marzo 1978, Giulio Andreotti forma il suo quarto esecutivo monocolore Dc sostenuto anche da comunisti, socialisti, socialdemocratici

e repubblicani.

Cinque giorni più tardi, il 16 marzo, le due Camere vengono convocate per discutere e votare la fiducia.

Quella mattina in via Fani, a Roma, un commando delle Brigate rosse rapisce Aldo Moro  e uccide i cinque uomini della sua scorta:

Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Jozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi.

Le visioni

I fatti sono conosciuti ed in diverse pellicole abbiamo assistito con il fiato sospeso ai controversi dibattiti tra Moro e i brigatisti, che lo processano durante i 55 giorni di prigionia.

Ma in questa pellicola il regista si concentra sull’esterno.

Cosa accade all’esterno mentre Moro è in balia dei terroristi?

Francesco Cossiga

Alesi, è straordinario nel trasferire la sofferenza dell’uomo, al pubblico.

Cossiga, uomo controverso e politico astuto, ha paura per Moro.

Ha paura che lo uccidano, ma anche paura che torturandolo lui “possa parlare”, dirà all’agente americano.

Ha paura perchè non ha più il suo maestro, il suo confidente, l’unico a cui racconta della moglie che non lo vuole e che non lo lascia dormire con lei.

Ha paura perchè a Moro deve tutto.

Ma è necessario che non si lasci andare a divagazioni perchè è il Ministro degli Interni, e i cittadini si aspettano che salvi Moro, in qualsiasi modo.

E’ il suo amico, ma dopo la lettera recapitata, è meglio che lo credano pazzo, “Aldo non è in se.” 

Aldo Moro non ha mai smesso di essere in se, per tutti i 55 giorni di prigionia, troppo lucido per non vedere che lo stavano sacrificando.

 

Le  mani di Cossiga  si riempiono di macchie, che vede solo lui, è il tormento dell’uomo, che non lo abbandonerà mai più.

E’ un personaggio shakespeariano, dirà lo stesso Alesi in un’intervista, che è a metà tra l’immaginazione e la realtà.

Non sempre è in grado di distinguerle.

Mentre si ritrova perso tra i suoi pensieri, nella camera buia, Francesco vede aprire la porta e apparire Aldo, quella visione lo destabilizza e lo riporta alla realtà, Aldo non c’è,  ed è in pericolo di vita.

E’ quasi bipolare questo Cossiga, con tutte le sue manie.

E’ attratto dal segreto e dall’assurdo, quando si ferma ad ascoltare le sciocchezze  di un santone che sostiene che Moro sia rinchiuso in un manicomio sedato.

Anche se è evidente la baggianata, si reca sul posto con i servizi, ma Aldo non è lì.

E’ l’inconscio che lo guida, desidera salvarlo a tutti i costi, anche se lo ha già condannato a pagare per le colpe di un’intera classe politica e di quel rimorso di quel dolore Francesco non si libererà mai.

 

Papa Paolo VI

Servillo, in questa interpretazione è poesia. La scelta è così calzante che al volto del Papa Paolo VI, il vero, attribuisci quasi automaticamente la voce di Servillo.

Nel racconto di Bellocchio, si vede un uomo stanco e malato, ma più politico che mai.

Un uomo forte nella sua potenza che si punisce, continuamente, dopo il rapimento Moro.

Il cilicio è un simbolo potentissimo della pena da espiare.

Nemmeno la Chiesa fece abbastanza per salvare Moro.

Il Papa, si oppone in silenzio alla linea della fermezza suggerita dalla Dc del “Non si tratta con i terroristi!”.

Intavola una trattativa nascosta, offre denaro, in cambio della liberazione di Moro.

Ma no, nemmeno “l’altro potere” riesce a trattare davvero per liberare Moro.

E allora il Papa stringe il cilicio a se, le lenzuola si tingono di rosso, Paolo è già debole, ma la sofferenza è troppa e offre in sacrificio il suo corpo per espirare le colpe di un Paese intero.

E lo vede lì, Aldo, con indosso una croce, alla via Crucis, sotto gli occhi impassibili della dirigenza della Dc.

 

Aldo Moro

Moro ormai per il cinema è Gifuni, dai tempi di “Romanzo di una strage”.

Un uomo costantemente in movimento nella pellicola di Bellocchio, che apre la sua opera, con un Moro intontito in un letto di ospedale, liberato.

Quasi come avesse ceduto ad una citazione del suo “Buongiorno, Notte”.

E’ uno statista anche nei modi.

Esce ed entra da palazzi rappresentativi del potere: l’università, la santa sede, il palazzo del governo.

Solo a casa, tra le braccia del suo nipotino, posa lo scudo crociato.

Aldo dorme poco, e non ama incomodare chi lavora per lui.

E’ un cattolico, ci crede davvero, prega, costantemente.

E’ l’uomo che tutti ascoltano, perchè è più intelligente, ma è anche l’uomo che tutti temono perchè è il più integerrimo.

E’ lungimirante, è il politico della Dc, ed in qualità di politico è la vittima sacrificale perfetta.

E forse, le Br, lo avevano anche previsto.

 

Esterno Notte, è la visione dal balcone, del cortile dove si incontrano e scontrano le vite di tutti coloro i quali hanno fatto parte di una stagione politica controversa.

 

La simbologia di Bellocchio è potente, commovente e allo stesso modo, vera, di quella verità che non vorresti mai conoscere.

 

 

Non vedo l’ora di vedere il prosieguo.

 

Andate a vederlo, non ve ne pentirete.