Il “sazio non crede al digiuno”: storie di precariato legale

Il “sazio non crede al digiuno”: storie di precariato legale

Cosa vuol dire “Precariato Legale”?

Ve lo racconto in poche righe.

 

Quando sei sazio non riuscirai mai a credere a colui il quale sta soffrendo la fame.

 

Oggi voglio raccontarvi una storia.

Una storia comune di tanti giovani che si rapportano con il mondo del lavoro.

La storia di professionisti sottopagati e umiliati.

Il mio, come il lavoro di tanti è di tipo prestazionale.

Esclusi alcuni casi in cui per un servizio specifico si pattuisce un tantum al mese, nonostante lo stesso sia comunque di tipo prestazionale.

La mia storia è ambientata in Campania, manco a dirlo, nel pieno mese di agosto, un pò come oggi, tipo.

STORIE DI PRECARIATO Legale

Come se servisse fare una premessa dopo  questo titolo.

La società nella quale viviamo è una società fascista.

Un luogo dimenticato da Dio, che fustiga chiunque prova a farcela.

Un ghetto dove vige la regola del più forte.

Se hai più soldi, vincerai sempre.

Se sei un’incapace con i soldi, poi, non ne parliamo proprio.

Ma torniamo alla nostra scena.

E’ agosto, la metà di agosto.

Ci avviamo alla fine di questo mese rovente e anche ricco di spese.

In un studio professionale, dimenticato dai diritti e dai doveri, diverse sono le storie che vi si incrociano.

Il titolare: uomo ignorante e di dubbio gusto.

I dipendenti: professionisti giovani e caparbi, in attesa dello “scatto di carriera” che eccolo: domani, dopodomani .. e sono ancora lì seduti ad aspettare.

Le persone di fiducia del titolare: personaggi misteriosi che godono di diritti agli altri dipendenti, sconosciuti.

Non solo di diritti, ma anche di stipendi non meglio identificati.

Questo studio si trova nel multiverso del maschilismo e del razzismo d’età.

Si perché in questa storia nasce un nuovo soggetto epico: il razzismo d’età.

“Ne dovete fare d’esperienza, dovete fare prima i capelli bianchi e poi potete dire che sapete fare un lavoro!”

Ebbene in questo “armadio di Narnia” malconcio, i giovani dipendenti aspettano il loro stipendio.

Lo aspettano in silenzio, fin quando la data prevista scatta di oltre 2 giorni.

Si sentono rimandati alla settimana prossima.

La storia non è questa, la storia è quella di un titolare microbo che ingrassa sui soldi dei contribuenti, e sulle disgrazie altrui.

Un uomo brutto e volgare, che pensa di essere il Padreterno e non sa nemmeno accendere un computer.

Un soggetto che ha tessuto le lodi di se stesso in ogni angolo, riscontrando solo voltastomaco negli occhi di chi era costretto ad ascoltarlo.

Un uomo solo, che se incassa bene è merito suo, se incassa poco è colpa del dipendente di turno.

Questa è una storia di precariato, la storia dei Millennials d’Italia.

Troppo intelligenti per sottostare al gioco del “bastone e della carota”, troppo sfigati per tentare la fortuna più lontano.

Dannatamente avanti perché figli del loro stesso sacrificio

Questa è la storia di ogni trentenne che vorrebbe andar via di casa per poter imparare come si sta al mondo da soli, ma che non ha i soldi necessari per pagarsi un affitto.

E’ la trama di vita  di tutti gli intellettuali, preparati, caparbi e brillanti ragazz* presenti nel Multiverso, oggi 24 agosto.

Non c’è la possibilità di redenzione.

Ne tanto meno una possibilità di miglioramento, perché ogni ufficio con a capo un ignorante arricchito, è un problema per la cultura di questa società.

Passano altri due giorni ed i dipendenti frustrati dall’attesa che no, non si possono permettere, vorrebbero andare oltre, perché c’è la luce la da pagare, la rata della macchina, l’affitto.

Si perché eventualmente volessero ricorrere ad altri metodi, non possono.

No.

Perché nonostante lavorino nello stesso luogo da anni, non hanno un contratto, e quindi nemmeno una busta paga.

“No vabbè questo è uno studio associato di professionisti, il contratto a che serve?”

Te lo spiego in italiano:

ad avere riconosciuti i diritti fondamentali e  basilari della Costituzione italiana.

I giovani dipendenti, pensate, hanno anche la sfortuna di non poter godere di giorni di malattia, perché se hanno pure una febbre la devono giustificare, e devono chiedere anche scusa.

Voi penserete “Scusa di che?”

Per non aver prodotto, per non aver coperto in quella giornata i costi di luce, gas, acqua.

Se un giorno, così a caso, il giovane dipendente va via alle 18, piuttosto che alle 20 (orario consono secondo il datore di lavoro), è tutta una pantomima.

Una serie di scuse devono, per forza, rincorrersi per non dire semplicemente:

“Pezzo di m**** le 20 non sono un orario umano!”

E allora:

  • devo andare a prendere mamma (in mille mila posti inventati);
  • devo andare in farmacia, se no chiude;
  • devo ritirare delle analisi importanti;
  • devo fare una visita (anche quando è vero sembra che tu lo stia inventando).

E se poi il 25 dicembre alle ore 22, ti squilla il cellulare, pensi “Cavoli sarà successo qualcosa!”

No macché:

“Anche se è Natale scusami, io sto qua da tizio e caio e volevamo fare questo progetto, mi puoi scrivere due righe?”

 

Questa è la vita del precario legale.

Quando parlo di precariato legale, lo dico scientemente.

Qualsiasi lavoratore, nel Sud Italia soprattutto, non può dirsi stabile ma precario, a meno che non sia statale.

Perché devi subire sempre qualcosa, pur di lavorare.

Che sia la paga bassa, i ritardi di pagamento, gli orari disumani, gli atteggiamenti classisti, la presunzione dell’ignorante patentato, la saccenza giustificata dal potere del conto in banca.

L’apprezzamento sulla scollatura se sei donna, l’umiliazione di sentirti zittire sempre che tu sia uomo o donna, anche se chi lo fa non capisce un c***o.

 

Perché in Italia ciò è possibile, anzi è proprio la normalità.

Perciò è nato il precariato legale.

 

Leggimi, in altri contenuti!😉